La Biblioteca dei libri perduti

2014

"Il libro dei libri perduti": la letteratura dell'assenza

Stuart Kelly, Il libro dei libri perduti, Rizzoli

 

La storia della letteratura è piena di biblioteche che bruciano e, all’opposto, di biblioteche resuscitate. L’incendio della Biblioteca di Alessandria, da una parte, e il ritrovamento dei papiri nella Villa dei Pisoni di Ercolano, dall’altra, sono probabilmente i due exempla più evidenti e noti di questa casistica. Spesso, a torto, crediamo di poter presumere che la sparizione dei libri sia collegata essenzialmente alla sparizione del supporto, del “libro” in quanto oggetto, sul quale l’opera era stata impressa, o del “papiro” su cui era stata scritta. E di conseguenza crediamo sia un problema che riguarda esclusivamente i testi antichi, quando di copie ne esistevano una manciata e non si aveva la rassicurante certezza che esistessero i CD, le chiavette USB, le memorie esterne, i computer dalle memorie inesauribili.

 

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"Naja tripudians": il veleno da cui non ci si salva

Annie Vivanti, Naja tripudians, Bemporad

 

Annie Vivanti, figura anomala nel panorama della cultura italiana (e un po’ anche europea) tra ’800 e ’900, fu segnata nell’esclusività già a partire dalla nascita: padre italiano e garibaldino, madre tedesca e scrittrice, nascita a Londra nel sobborgo di Norwood. Imparò inglese e tedesco, prima ancora dell’italiano; crebbe tra Stati Uniti, Svizzera, Regno Unito e Italia. Volle conoscere il grande poeta del periodo, il Carducci, e gli inviò alcuni suoi componimenti poetici con un biglietto sfrontato.

 

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Quell'"Odor d'erbe buone" di una fanciullezza maremmana

Guelfo Civinini, Odor d'erbe buone, Arnoldo Mondadori

 

Ma fu, più di tutto, uomo attento alla sua memoria. Ed è proprio nelle opere in cui ricorda il suo passato maremmano, quasi tutte scritte negli anni Trenta, che raggiunge forse i livelli più alti della sua arte. Come, ad esempio, in Odor d’erbe buone, pubblicato nel 1931 per Mondadori, una raccolta di frammenti memoriali che ricostruiscono il Guelfo che fu. Ma più che racconti di formazione, sono racconti di rievocazione sensoriale, una sorta di coralità sinestetica: vista, udito, tatto ma soprattutto olfatto. Una sinfonia di percezioni riportate in vita in tutto il loro acerbo splendore e spumeggiante potenza.

 

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Gianna Manzini, "Lettera all'editore". Una mano vincente a carte

Gianna Manzini, Lettera all'editore, Sellerio editore

 

La trama, persino irrilevante rispetto all’esplorazione dell’architettura narrativa, è creata per sottrazione, frammentata in episodi che si presentano alla mente della scrittrice senza regola, ma tramite un “correlativo oggettivo” di montaliana derivazione: un cavallo, una melagrana. E si strutturano in “avventure personali” e “vicende romanzesche”, a significare come i due comparti siano separati ma, in definitiva, comunicanti. Come se le sue esperienze personali si allacciassero all’invenzione, per pudore o per convenienza: “Ma in tutto ciò io non mi sono mai perduta di vista. Così che il vero romanzo per me consiste nei punti di concomitanza dell’intreccio con alcuni episodi della mia vita”. La vita della scrittrice, nel suo compiersi, offre terra propizia e fertile alla nascita dei personaggi, di fantasmi che premono per aver vita, per affrancarsi da una trama che altrimenti sarebbe già decisa e stabilita.

 

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